Pietro Milella

blog ufficiale.

giovedì 25 aprile 2019

#T12 Capitolo 3

Nessun commento
Finita la visita Flavio rientrò in ufficio per sbrigare le ultime faccende prima do potersi dedicare al week-end, nonostante i mille pensieri che gli frullavano in testa. Gloria era molto strana, quasi pazza più del solito, ma aveva pronunciato una frase diversa dalle solite. Come se qualcosa stesse cambiando.
Il tempo passa, la mente tace, scordar di lui non son capace.
Che voleva dire con questa frase, chi era quel lui, suo marito o l’assassino di suo marito.
Gloria sarebbe stata l’unica in grado di identificare quella persona, ma in quello stato e dopo lo choc, sicuramente nessuno le avrebbe creduto. Molti, per di più, pensavano che lei stessa avesse ucciso il marito, e che la pazzia fosse un modo per poter evitare la galera o il processo.
La dinamica della morte di Saverio era ancora avvolta nel mistero. Gloria avrebbe potuto essere l’assassino, ma anche una persona invisibile, il problema era che non esistevano prove o testimonianze se non nella mente e nei ricordi di Gloria, che ormai sembrava essere completamente andata.
Accompagnato da questi pensieri Flavio rientrò in ufficio. Erano quasi le quattro, alcuni impiegati se ne erano già andati.
Risalendo le scale incontrò Ada che stava scendendo per andare al bar.
“Flavio, hai una sorpresa appena risali.” Disse la donna con voce tranquilla e allegra, quasi a modo di sfottò.
L’uomo si fermò sulle scale, indeciso se continuare a salire o andarsene. Ada colse l’esitazione dell’uomo. Aveva capito che dopo l’incontro di quella mattina e la visita a sua sorella, Flavio non avrebbe retto un altro incontro di lavoro, soprattutto pesante ed invadente.
“Tranquillo, ti piacerà… almeno credo” concluse la donna, mentre scendeva, lasciando dietro di sé la sua voce con un tono quasi scherzoso.
Ovviamente Flavio non avrebbe potuto sapere chi fosse la persona che lo aspettava in ufficio, fino a quando non avesse aperto la porta. Purtroppo, non aveva mai valutato l’idea di restaurare l’ufficio, secondo quello che era il suo progetto iniziale. Aveva un progetto e lo aveva chiamato “Spazio Mentale”. L’idea era quella di creare un ambiente unico, aperto che stimolasse la creatività e favorisse la cooperazione tra gli impiegati, ma dopo la morte di Saverio aveva accantonato il progetto poiché aveva preferito restare fuori ed isolato dal mondo. In modo ironico, date le circostanze e gli ultimi avvenimenti, aveva seriamente valutato l’idea di rispolverare quel progetto.
In questo momento aveva una sola certezza: una volta aperta la porta non se ne sarebbe potuto andare e né tantomeno si sarebbe potuto preparare psicologicamente all’incontro con l’interlocutore sconosciuto, se non in un frangente di secondi.

Aprì la porta e vide due figure, di spalle sedute verso la scrivania. Erano un uomo e una donna. L’uomo aveva i capelli brizzolati pettinati in maniera ordinata, un leggero accenno di barba, era vestito con una giacca nera. Avrebbe potuto avere un’età compresa tra i quaranta e i cinquant’anni, mentre la donna aveva dei capelli nero corvino, a caschetto, tagliati in maniera simmetrica e precisa. Se Flavio non avesse riconosciuto la donna avrebbe sicuramente pensato che indossasse una parrucca. I capelli erano perfetti e soprattutto immobili.
Appena la donna sentì aprire la porta si girò e salutò l’uomo tendendogli la mano.
“Flavio… come stai?” esordì in tono solare e deciso.
“Bene Bene…” disse ricambiando la stretta di mano della donna e salutando l’uomo.
“Piacere Alberto…” disse l’uomo stingendo la mano di Flavio in maniera salda.
Flavio fece il giro della scrivania e si accomodò sulla sua poltrona.
“Allora qual buon vento ti porta qui, hai deciso di aprire una nuova filiale della tua agenzia immobiliare?” disse sorridendo rivolgendo lo sguardo prima alla donna e poi verso l’uomo.
Alberto sorrise portandosi la mano alla bocca, quasi a non voler far trasparire la risata, e a voler lasciare quanto più possibile l’alone di mistero intorno a quella conversazione.
“In realtà siamo qui per lui…” disse la donna posando prima il suo sguardo su Flavio e poi trasportandolo su Alberto, accompagnando il movimento del viso con quello della mano.
Flavio in quel momento sentì un brivido dietro la schiena, si irrigidì come se si trovasse nel bel mezzo di una roulette russa con una pistola puntata contro la tempia. Era in attesa che il colpo venisse sparato.
“Mi candido a sindaco della città durante le prossime elezioni, e ti voglio nella mia squadra.”

Boom..
La pistola sparò il colpo.
Ma nel suo caso non c’era il proiettile, fu sparato solo un colpo a vuoto. La roulette russa era un gioco d’azzardo, o si restava secchi per il proiettile o per l’ansia e la paura. Nel caso di Flavio, fu pervaso da un’ondata mista di paura, ed eccitazione che scatenò una reazione incontrollata e lo costrinse ad alzarsi e ad allontanarsi un attimo dall’ufficio.
La donna non immaginava che una semplice dichiarazione avrebbe potuto scatenare una reazione del genere. In effetti era preparata a questa reazione o ad un totale rifiuto da parte di Flavio. Conosceva l’uomo e sapeva cosa avesse passato specie nell’ultimo anno. Sia lei che suo Alberto erano arrivati lì con poche speranze.
Corse in bagno davanti agli occhi imperterriti della donna e di Alberto e di tutti i suoi dipendenti.
Appena entrato nel bagno si lasciò andare, e dopo aver recuperato il fiato si fermò davanti allo specchio. Rivide il suo sguardo, e in un attimo ripensò a tutto ciò che era stata l’ultima campagna elettorale che aveva affrontato. Ripensò alle nottate nel suo studio, a Gloria, a Saverio, alla loro amicizia, a sua moglie e alla sua famiglia. Pensò anche a tutto il buio e ai disastri che ne erano scaturiti dopo l’elezione di Saverio a sindaco.
Si tolse gli occhiali, mise a fuoco ancora una volta il suo viso e il suo sguardo, si passo una mano nei capelli, scompigliò la capigliatura perfetta, si rinfrescò la faccia e uscì rientrando nel suo ufficio, chiuse la porta e senza nemmeno sedersi disse: “Ok, ci sono!”
I due lo guardarono quasi straniti, ma la donna, che conosceva Flavio aveva capito, in qualche modo, inconsciamente aveva risvegliato qualcosa in lui.
“Quindi è un si!” disse Alberto guardando stranito la donna, quasi incredulo.
“Si!” rispose lei con un velo di commozione, quasi incredula.

lunedì 15 aprile 2019

#T12 Capitolo 2

Nessun commento

Dopo l’assassinio del marito Gloria era stata rinchiusa in un istituto di igiene mentale a causa del trauma che aveva subito. I medici non sapevano che diagnosi elaborare.
Viveva in una sorta di prigione mentale, dopo l’accaduto. A volte sembrava uscirne, ma subito dopo si rinchiudeva nella sua prigione. Inizialmente erano più frequenti i momenti di lucidità che quelli di prigionia, ma pian piano la follia prese il sopravvento su di lei rinchiudendola sempre di più nella sua prigione mentale. Psicologi, psichiatri e neuropsichiatri avevano cercato di elaborare una diagnosi o una sorta di cura, me nessuno ne era venuto a capo.
Sembrava che la donna stesse bene, ma improvvisamente impazziva, iniziava ad urlare e a grattarsi le mani fino a farla sanguinare, lacerandosi diversi strati di pelle. Una volta durante la notte si grattò così a fondo che il mattino dopo, i medici che la trovarono potevano vedere persino i tendini sul dorso della mano. Le furono medicate subito le ferite e poi venne sedata per diversi giorni. Quando ricominciava ad avere questi attacchi i medici le lasciavano le mani con garze e bende in modo da impedirle di potersi fare del male. In questo periodo, a ridosso dell’anniversario della morte del marito Gloria si trovava nuovamente in quella fase.
Non appena Flavio la vide, nel corridoio dell’istituto dove era ricoverate le corse incontro e l’abbracciò. La prese sottobraccio e la condusse nella sala comune.
Aveva le braccia fasciate in modo spesso, i lunghi capelli rossi arruffati e spettinati, e lo sguardo spento. Gli occhi sembravano quasi vitrei, l’azzurro aveva lasciato lo spazio ad un grigio spento. Sembrava in uno stato catatonico. Camminava deambulando e ciondolando, come se fosse stata imbottita di psicofarmaci e sedativi.
“Sarà sicuramente così” pensò Flavio.
“Gloria come ti senti oggi.” Chiese Flavio con tono quasi rammaricato e sconsolato.
“Il tempo passa, la mente tace, scordar di lui non son capace…” disse mentre si guardava intorno, si stringeva le braccia al corpo e cercava di non farsi sentire.
Flavio cercò di tranquillizzarla, accarezzandola per quel che poteva. La donna si allontanò.
“Non mi toccare…” urlò in tono isterico e quasi cagnesco.
Nella sala comune calò il silenzio. Gli inservienti erano ad un passo dall’intervenire ma Flavio fece loro cenno di aspettare. Non voleva spaventare sua sorella. Non voleva essere, anche lui, complice della sua solitudine e della sua prigionia. Chiunque fosse andato a trovarla, negli ultimi anni era sempre stato aggredito e poi rifiutato da Gloria. Era rimasto solo Flavio.
“Gloria calmati!” esclamò il fratello, alzandosi e pronunciando con fermezza quelle due parole.
La donna rimase quasi sbalordita di questa reazione, quasi stranita tant’è che recepì subito il messaggio e si sedette nuovamente.
“Scusami, è che io non sono pazza, voglio solo mantenere le distanze.”
“Ok, va bene…”.
L’uomo rimase un’altra ora con la sorella, conversando con lei per quel che poteva. Finita la visita rientrò in ufficio.

giovedì 4 aprile 2019

#T12 Capitolo 1

Nessun commento

Erano passati due anni da quando Flavio si era ritirato dall’agenzia stampa, dopo l’ultima campagna elettorale. Era rimasto scosso, scioccato e soprattutto disgustato di quanto fango e di quanta melma aveva dovuto rivoltare e mangiare pur di perseguire il suo obbiettivo, far vincere il suo cliente, nonostante fosse contrario per molte cose alle sue scelte e alle sue strategie. Aveva preferito finire dignitosamente il lavoro e ritirarsi in buon ordine, nel suo ufficio per dedicarsi alla scrittura e alla correzione di testi, il lavoro che avrebbe voluto fare, ma per il quale non trovava mai il tempo sia perché il suo attuale lavoro lo opprimeva e sia perché, piano piano, aveva represso le sue passioni, fino ad assopirle.
Come tutte le mattine, alle undici precise, scese per andare al bar difronte il suo ufficio e per prendere il suo caffè o la sua spremuta, in base a come credeva che si sarebbe svolta la giornata. Il caffè significava una giornata lunga, piena di lavoro e soprattutto intensa, mentre la spremuta significava una giornata impegnativa, ma non troppo, leggera e che sarebbe finita non oltre le sedici e trenta.
Prese una spremuta, lesse il giornale e dopo un quarto d’ora era nuovamente davanti la porta del suo ufficio.
Mentre apriva la porta lesse una mail sul cellulare. Entrò nel suo ufficio con la testa piegata sullo smartphone.
Non notò subito la sedia girata di spalle.
Appena richiuse la porta, la sedia si girò.
Era seduta una figura femminile, dai lunghi e lisci capelli biondi. Aveva le gambe accavallate, coperte da un pantalone di pelle nero, molto aderente, e un paio dii scarpe con il tacco, sicuramente un tacco 12.
La donna era pallida in viso, ma aveva uno sguardo deciso.
Per attirare la sua attenzione ticchettò le lunghe unghie sulla scrivania.
Flavio alzò lo sguardo dal telefono e senza pensarci neanche un attimo esclamò: “Raffaella.”
Riportò le mani verso il viso, si aggiustò la ciocca di capelli che le copriva gli occhi, e con voce gelida, quasi avesse sparato un colpo di pistola pronunciò due parole fatali, scandendo ogni singola lettera: “Dobbiamo parlare!”.
“Sai già che la mia risposta sarà: no a prescindere!” sentenziò Flavio guardando dritto negli occhi Raffaella.
La donna si alzò dalla sedia, girò attorno alla scrivania, si avvicinò all’uomo, gli mise un dito sulle labbra, quasi a volerlo zittire e gli sussurrò: “Shh… smettila di parlare.” con voce flebile e quasi ammaliante. L’uomo era in estasi, quasi pietrificato, inerme sotto lo charm della donna e vittima del suo fascino, come gli era accaduto già in passato.
Raffaella prese la mano dell’uomo e la portò dritta sul suo seno, spingendola e invitando l’uomo a massaggiarla.
Flavio d’istinto ritirò la mano, ma qualcosa dentro di lui si mosse.
Raffaella si girò, come a volersene andare, ma puntò il suo fondoschiena contro il suo bacino simulando un rapporto sessuale. Flavio si tolse gli occhiali, li ripiegò nel solco della camicia, prese la donna per i fianchi, si appoggiò sulla sua schiena, quasi a voler assecondare il desiderio sessuale. Iniziò con il toccarle i fianchi e poi giunse verso il pantalone dove si intravedeva il pizzo del perizoma che indossava, lo sfiorò leggermente con un dito. La donna ebbe quasi un sussulto, il suo corpo si irrigidì.
Entrambi stavano fremendo sotto gli abiti e al loro interno. Iniziò ad accarezzarle la schiena con la mano, poi avvicinò le sue labbra all’orecchio di Raffaella, lo sfiorò in maniera libidinosa, mordendole il lobo e le disse:
“Puoi tranquillamente scordartelo!” con quasi canzonatorio. La donna infastidita si rigirò, lo guardò sconvolta, si riaggiustò gli abiti e i capelli, e uscì dall’ufficio sbattendo la porta, quasi infastidita e irritata, per come era stata trattata.
“Allora, che voleva quella meretrice?” disse Ada entrando nella stanza di Flavio dopo che Raffaella se ne era andata.
Flavio sprofondò sulla sedia, si tolse gli occhiali e li lanciò sulla scrivania. Si stropicciò gli occhi.
“Secondo te per cosa è venuta? Per la campagna elettorale.”
Ada era la responsabile delle comunicazioni dell’agenzia di cui Flavio era a capo. Si occupava della cura dei clienti e delle loro pubbliche relazioni.
Flavio l’aveva scelta, durante una serie infinita di colloqui, poiché era rimasto molto colpito dal suo modo di fare e dalla sua eleganza del vestirsi. Sapeva che sarebbe stato un ottimo bigliettino da visita da spendere sia per i clienti che per i potenziali nuovi clienti. Inizialmente si sentiva quasi uno stronzo, come se sfruttasse il fascino di Ada per controllare e attirare i clienti, ma fu lei stessa a fargli capire che non era un problema. Anzi, lei aveva creato appositamente quel personaggio per lavorare.
Fuori dagli orari e dai luoghi di lavoro era una ragazza comune vestiva con jeans, maglietta, scarpe sportive e giacchette, sempre con un certo stile.
Il suo modo di vestire molto stravagante, soprattutto in ufficio non passava molto inosservato. Solitamente utilizzava dei turbanti sulla testa e li abbinava ai suoi outfits. Nell’ultimo periodo prediligeva soprattutto il blu e le sue sfumature.
Indossava un paio di pantaloni turchesi, con una riga al centro, un maglioncino a collo alto, dello stesso colore. I capelli erano raccolti in una sorta di turbante verde acqua con delle pailletts.
“E tu che vuoi fare?” chiese la donna mentre era intenta a rispondere ad una mail dal suo telefono, sembrava fosse distratta, ma invece coglieva ogni sfumatura e ogni gesto dell’uomo.
“Ada, niente, non ho nessuna intenzione di rimettermi a rimestare merda e a distruggere vite, per cosa? Per una vittoria politica” disse Flavio alzando il tono della voce.
Ada posò il telefono sulla scrivania di Flavio, si sedette difronte a lui e disse:
“Flavio, non è stata colpa tua la morte del sindaco.”
“Non è stata colpa mia?” esordì l’uomo alzandosi di scatto dalla sedia e impuntandosi verso la donna.
“Ricapitoliamo, ho portato Saverio alla vittoria, con mille sacrifici, ho perso mia moglie dopo la sua morte e mia sorella è rinchiusa in un istituto di igiene mentale dopo l’accaduto.”
Ada, vista la reazione dell’uomo si impuntò anche lei, sulla scrivania.
“Non è stata colpa tua te lo ripeto!” ribattè Ada in tono deciso e fermo, quasi volesse ripotare Flavio alla realtà. Sapeva che ogni volta che l’uomo riapriva l’argomento si ritrovava ad essere chiuso nel suo castello mentale, fatto di sofferenze e di paure e per ripotarlo alla realtà doveva necessariamente ricordagli, in maniera ferma che la colpa non era sua. Erano state le circostanze a creare tutta quella serie di eventi.
Dopo la discussione Ada uscì dall’ufficio di Flavio, nel frattempo l’uomo, prese il pacchetto di sigarette dal cassetto, il cappotto dall’appendi abiti e se ne andò dall’ufficio. La donna lo vide  uscire, quasi velocemente e capì che era diretto verso l’istituto dove si trovava Gloria, sua sorella maggiore.