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giovedì 4 aprile 2019

#T12 Capitolo 1

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Erano passati due anni da quando Flavio si era ritirato dall’agenzia stampa, dopo l’ultima campagna elettorale. Era rimasto scosso, scioccato e soprattutto disgustato di quanto fango e di quanta melma aveva dovuto rivoltare e mangiare pur di perseguire il suo obbiettivo, far vincere il suo cliente, nonostante fosse contrario per molte cose alle sue scelte e alle sue strategie. Aveva preferito finire dignitosamente il lavoro e ritirarsi in buon ordine, nel suo ufficio per dedicarsi alla scrittura e alla correzione di testi, il lavoro che avrebbe voluto fare, ma per il quale non trovava mai il tempo sia perché il suo attuale lavoro lo opprimeva e sia perché, piano piano, aveva represso le sue passioni, fino ad assopirle.
Come tutte le mattine, alle undici precise, scese per andare al bar difronte il suo ufficio e per prendere il suo caffè o la sua spremuta, in base a come credeva che si sarebbe svolta la giornata. Il caffè significava una giornata lunga, piena di lavoro e soprattutto intensa, mentre la spremuta significava una giornata impegnativa, ma non troppo, leggera e che sarebbe finita non oltre le sedici e trenta.
Prese una spremuta, lesse il giornale e dopo un quarto d’ora era nuovamente davanti la porta del suo ufficio.
Mentre apriva la porta lesse una mail sul cellulare. Entrò nel suo ufficio con la testa piegata sullo smartphone.
Non notò subito la sedia girata di spalle.
Appena richiuse la porta, la sedia si girò.
Era seduta una figura femminile, dai lunghi e lisci capelli biondi. Aveva le gambe accavallate, coperte da un pantalone di pelle nero, molto aderente, e un paio dii scarpe con il tacco, sicuramente un tacco 12.
La donna era pallida in viso, ma aveva uno sguardo deciso.
Per attirare la sua attenzione ticchettò le lunghe unghie sulla scrivania.
Flavio alzò lo sguardo dal telefono e senza pensarci neanche un attimo esclamò: “Raffaella.”
Riportò le mani verso il viso, si aggiustò la ciocca di capelli che le copriva gli occhi, e con voce gelida, quasi avesse sparato un colpo di pistola pronunciò due parole fatali, scandendo ogni singola lettera: “Dobbiamo parlare!”.
“Sai già che la mia risposta sarà: no a prescindere!” sentenziò Flavio guardando dritto negli occhi Raffaella.
La donna si alzò dalla sedia, girò attorno alla scrivania, si avvicinò all’uomo, gli mise un dito sulle labbra, quasi a volerlo zittire e gli sussurrò: “Shh… smettila di parlare.” con voce flebile e quasi ammaliante. L’uomo era in estasi, quasi pietrificato, inerme sotto lo charm della donna e vittima del suo fascino, come gli era accaduto già in passato.
Raffaella prese la mano dell’uomo e la portò dritta sul suo seno, spingendola e invitando l’uomo a massaggiarla.
Flavio d’istinto ritirò la mano, ma qualcosa dentro di lui si mosse.
Raffaella si girò, come a volersene andare, ma puntò il suo fondoschiena contro il suo bacino simulando un rapporto sessuale. Flavio si tolse gli occhiali, li ripiegò nel solco della camicia, prese la donna per i fianchi, si appoggiò sulla sua schiena, quasi a voler assecondare il desiderio sessuale. Iniziò con il toccarle i fianchi e poi giunse verso il pantalone dove si intravedeva il pizzo del perizoma che indossava, lo sfiorò leggermente con un dito. La donna ebbe quasi un sussulto, il suo corpo si irrigidì.
Entrambi stavano fremendo sotto gli abiti e al loro interno. Iniziò ad accarezzarle la schiena con la mano, poi avvicinò le sue labbra all’orecchio di Raffaella, lo sfiorò in maniera libidinosa, mordendole il lobo e le disse:
“Puoi tranquillamente scordartelo!” con quasi canzonatorio. La donna infastidita si rigirò, lo guardò sconvolta, si riaggiustò gli abiti e i capelli, e uscì dall’ufficio sbattendo la porta, quasi infastidita e irritata, per come era stata trattata.
“Allora, che voleva quella meretrice?” disse Ada entrando nella stanza di Flavio dopo che Raffaella se ne era andata.
Flavio sprofondò sulla sedia, si tolse gli occhiali e li lanciò sulla scrivania. Si stropicciò gli occhi.
“Secondo te per cosa è venuta? Per la campagna elettorale.”
Ada era la responsabile delle comunicazioni dell’agenzia di cui Flavio era a capo. Si occupava della cura dei clienti e delle loro pubbliche relazioni.
Flavio l’aveva scelta, durante una serie infinita di colloqui, poiché era rimasto molto colpito dal suo modo di fare e dalla sua eleganza del vestirsi. Sapeva che sarebbe stato un ottimo bigliettino da visita da spendere sia per i clienti che per i potenziali nuovi clienti. Inizialmente si sentiva quasi uno stronzo, come se sfruttasse il fascino di Ada per controllare e attirare i clienti, ma fu lei stessa a fargli capire che non era un problema. Anzi, lei aveva creato appositamente quel personaggio per lavorare.
Fuori dagli orari e dai luoghi di lavoro era una ragazza comune vestiva con jeans, maglietta, scarpe sportive e giacchette, sempre con un certo stile.
Il suo modo di vestire molto stravagante, soprattutto in ufficio non passava molto inosservato. Solitamente utilizzava dei turbanti sulla testa e li abbinava ai suoi outfits. Nell’ultimo periodo prediligeva soprattutto il blu e le sue sfumature.
Indossava un paio di pantaloni turchesi, con una riga al centro, un maglioncino a collo alto, dello stesso colore. I capelli erano raccolti in una sorta di turbante verde acqua con delle pailletts.
“E tu che vuoi fare?” chiese la donna mentre era intenta a rispondere ad una mail dal suo telefono, sembrava fosse distratta, ma invece coglieva ogni sfumatura e ogni gesto dell’uomo.
“Ada, niente, non ho nessuna intenzione di rimettermi a rimestare merda e a distruggere vite, per cosa? Per una vittoria politica” disse Flavio alzando il tono della voce.
Ada posò il telefono sulla scrivania di Flavio, si sedette difronte a lui e disse:
“Flavio, non è stata colpa tua la morte del sindaco.”
“Non è stata colpa mia?” esordì l’uomo alzandosi di scatto dalla sedia e impuntandosi verso la donna.
“Ricapitoliamo, ho portato Saverio alla vittoria, con mille sacrifici, ho perso mia moglie dopo la sua morte e mia sorella è rinchiusa in un istituto di igiene mentale dopo l’accaduto.”
Ada, vista la reazione dell’uomo si impuntò anche lei, sulla scrivania.
“Non è stata colpa tua te lo ripeto!” ribattè Ada in tono deciso e fermo, quasi volesse ripotare Flavio alla realtà. Sapeva che ogni volta che l’uomo riapriva l’argomento si ritrovava ad essere chiuso nel suo castello mentale, fatto di sofferenze e di paure e per ripotarlo alla realtà doveva necessariamente ricordagli, in maniera ferma che la colpa non era sua. Erano state le circostanze a creare tutta quella serie di eventi.
Dopo la discussione Ada uscì dall’ufficio di Flavio, nel frattempo l’uomo, prese il pacchetto di sigarette dal cassetto, il cappotto dall’appendi abiti e se ne andò dall’ufficio. La donna lo vide  uscire, quasi velocemente e capì che era diretto verso l’istituto dove si trovava Gloria, sua sorella maggiore.

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