Erano passati due anni da quando
Flavio si era ritirato dall’agenzia stampa, dopo l’ultima campagna elettorale.
Era rimasto scosso, scioccato e soprattutto disgustato di quanto fango e di
quanta melma aveva dovuto rivoltare e mangiare pur di perseguire il suo obbiettivo,
far vincere il suo cliente, nonostante fosse contrario per molte cose alle sue
scelte e alle sue strategie. Aveva preferito finire dignitosamente il lavoro e
ritirarsi in buon ordine, nel suo ufficio per dedicarsi alla scrittura e alla
correzione di testi, il lavoro che avrebbe voluto fare, ma per il quale non
trovava mai il tempo sia perché il suo attuale lavoro lo opprimeva e sia
perché, piano piano, aveva represso le sue passioni, fino ad assopirle.
Come tutte le mattine, alle
undici precise, scese per andare al bar difronte il suo ufficio e per prendere
il suo caffè o la sua spremuta, in base a come credeva che si sarebbe svolta la
giornata. Il caffè significava una giornata lunga, piena di lavoro e
soprattutto intensa, mentre la spremuta significava una giornata impegnativa,
ma non troppo, leggera e che sarebbe finita non oltre le sedici e trenta.
Prese una spremuta, lesse il
giornale e dopo un quarto d’ora era nuovamente davanti la porta del suo
ufficio.
Mentre apriva la porta lesse
una mail sul cellulare. Entrò nel suo ufficio con la testa piegata sullo
smartphone.
Non notò subito la sedia girata
di spalle.
Appena richiuse la porta, la
sedia si girò.
Era seduta una figura femminile,
dai lunghi e lisci capelli biondi. Aveva le gambe accavallate, coperte da un
pantalone di pelle nero, molto aderente, e un paio dii scarpe con il tacco,
sicuramente un tacco 12.
La donna era pallida in viso, ma
aveva uno sguardo deciso.
Per attirare la sua attenzione
ticchettò le lunghe unghie sulla scrivania.
Flavio alzò lo sguardo dal
telefono e senza pensarci neanche un attimo esclamò: “Raffaella.”
Riportò le mani verso il viso, si
aggiustò la ciocca di capelli che le copriva gli occhi, e con voce gelida,
quasi avesse sparato un colpo di pistola pronunciò due parole fatali, scandendo
ogni singola lettera: “Dobbiamo parlare!”.
“Sai già che la mia risposta
sarà: no a prescindere!” sentenziò Flavio guardando dritto negli occhi
Raffaella.
La donna si alzò dalla sedia,
girò attorno alla scrivania, si avvicinò all’uomo, gli mise un dito sulle
labbra, quasi a volerlo zittire e gli sussurrò: “Shh… smettila di parlare.” con
voce flebile e quasi ammaliante. L’uomo era in estasi, quasi pietrificato,
inerme sotto lo charm della donna e vittima del suo fascino, come gli era
accaduto già in passato.
Raffaella prese la mano dell’uomo
e la portò dritta sul suo seno, spingendola e invitando l’uomo a massaggiarla.
Flavio d’istinto ritirò la mano,
ma qualcosa dentro di lui si mosse.
Raffaella si girò, come a
volersene andare, ma puntò il suo fondoschiena contro il suo bacino simulando
un rapporto sessuale. Flavio si tolse gli occhiali, li ripiegò nel solco della
camicia, prese la donna per i fianchi, si appoggiò sulla sua schiena, quasi a
voler assecondare il desiderio sessuale. Iniziò con il toccarle i fianchi e poi
giunse verso il pantalone dove si intravedeva il pizzo del perizoma che
indossava, lo sfiorò leggermente con un dito. La donna ebbe quasi un sussulto,
il suo corpo si irrigidì.
Entrambi stavano fremendo sotto gli
abiti e al loro interno. Iniziò ad accarezzarle la schiena con la mano, poi
avvicinò le sue labbra all’orecchio di Raffaella, lo sfiorò in maniera
libidinosa, mordendole il lobo e le disse:
“Puoi tranquillamente
scordartelo!” con quasi canzonatorio. La donna infastidita si rigirò, lo guardò
sconvolta, si riaggiustò gli abiti e i capelli, e uscì dall’ufficio sbattendo
la porta, quasi infastidita e irritata, per come era stata trattata.
“Allora, che voleva quella
meretrice?” disse Ada entrando nella stanza di Flavio dopo che Raffaella se ne
era andata.
Flavio sprofondò sulla sedia, si
tolse gli occhiali e li lanciò sulla scrivania. Si stropicciò gli occhi.
“Secondo te per cosa è venuta?
Per la campagna elettorale.”
Ada era la responsabile delle
comunicazioni dell’agenzia di cui Flavio era a capo. Si occupava della cura dei
clienti e delle loro pubbliche relazioni.
Flavio l’aveva scelta, durante
una serie infinita di colloqui, poiché era rimasto molto colpito dal suo modo
di fare e dalla sua eleganza del vestirsi. Sapeva che sarebbe stato un ottimo
bigliettino da visita da spendere sia per i clienti che per i potenziali nuovi
clienti. Inizialmente si sentiva quasi uno stronzo, come se sfruttasse il
fascino di Ada per controllare e attirare i clienti, ma fu lei stessa a fargli
capire che non era un problema. Anzi, lei aveva creato appositamente quel
personaggio per lavorare.
Fuori dagli orari e dai luoghi di
lavoro era una ragazza comune vestiva con jeans, maglietta, scarpe sportive e
giacchette, sempre con un certo stile.
Il suo modo di vestire molto
stravagante, soprattutto in ufficio non passava molto inosservato. Solitamente
utilizzava dei turbanti sulla testa e li abbinava ai suoi outfits. Nell’ultimo
periodo prediligeva soprattutto il blu e le sue sfumature.
Indossava un paio di pantaloni
turchesi, con una riga al centro, un maglioncino a collo alto, dello stesso
colore. I capelli erano raccolti in una sorta di turbante verde acqua con delle
pailletts.
“E tu che vuoi fare?” chiese la
donna mentre era intenta a rispondere ad una mail dal suo telefono, sembrava
fosse distratta, ma invece coglieva ogni sfumatura e ogni gesto dell’uomo.
“Ada, niente, non ho nessuna
intenzione di rimettermi a rimestare merda e a distruggere vite, per cosa? Per
una vittoria politica” disse Flavio alzando il tono della voce.
Ada posò il telefono sulla
scrivania di Flavio, si sedette difronte a lui e disse:
“Flavio, non è stata colpa tua
la morte del sindaco.”
“Non è stata colpa mia?” esordì
l’uomo alzandosi di scatto dalla sedia e impuntandosi verso la donna.
“Ricapitoliamo, ho portato
Saverio alla vittoria, con mille sacrifici, ho perso mia moglie dopo la sua
morte e mia sorella è rinchiusa in un istituto di igiene mentale dopo
l’accaduto.”
Ada, vista la reazione dell’uomo
si impuntò anche lei, sulla scrivania.
“Non è stata colpa tua te lo
ripeto!” ribattè Ada in tono deciso e fermo, quasi volesse ripotare Flavio alla
realtà. Sapeva che ogni volta che l’uomo riapriva l’argomento si ritrovava ad
essere chiuso nel suo castello mentale, fatto di sofferenze e di paure e per
ripotarlo alla realtà doveva necessariamente ricordagli, in maniera ferma che
la colpa non era sua. Erano state le circostanze a creare tutta quella serie di
eventi.
Dopo la discussione Ada uscì
dall’ufficio di Flavio, nel frattempo l’uomo, prese il pacchetto di sigarette
dal cassetto, il cappotto dall’appendi abiti e se ne andò dall’ufficio. La
donna lo vide uscire, quasi velocemente
e capì che era diretto verso l’istituto dove si trovava Gloria, sua sorella
maggiore.
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