Dopo l’assassinio del marito
Gloria era stata rinchiusa in un istituto di igiene mentale a causa del trauma
che aveva subito. I medici non sapevano che diagnosi elaborare.
Viveva in una sorta di prigione
mentale, dopo l’accaduto. A volte sembrava uscirne, ma subito dopo si
rinchiudeva nella sua prigione. Inizialmente erano più frequenti i momenti di
lucidità che quelli di prigionia, ma pian piano la follia prese il sopravvento
su di lei rinchiudendola sempre di più nella sua prigione mentale. Psicologi,
psichiatri e neuropsichiatri avevano cercato di elaborare una diagnosi o una
sorta di cura, me nessuno ne era venuto a capo.
Sembrava che la donna stesse
bene, ma improvvisamente impazziva, iniziava ad urlare e a grattarsi le mani
fino a farla sanguinare, lacerandosi diversi strati di pelle. Una volta durante
la notte si grattò così a fondo che il mattino dopo, i medici che la trovarono
potevano vedere persino i tendini sul dorso della mano. Le furono medicate
subito le ferite e poi venne sedata per diversi giorni. Quando ricominciava ad
avere questi attacchi i medici le lasciavano le mani con garze e bende in modo
da impedirle di potersi fare del male. In questo periodo, a ridosso
dell’anniversario della morte del marito Gloria si trovava nuovamente in quella
fase.
Non appena Flavio la vide, nel
corridoio dell’istituto dove era ricoverate le corse incontro e l’abbracciò. La
prese sottobraccio e la condusse nella sala comune.
Aveva le braccia fasciate in modo
spesso, i lunghi capelli rossi arruffati e spettinati, e lo sguardo spento. Gli
occhi sembravano quasi vitrei, l’azzurro aveva lasciato lo spazio ad un grigio
spento. Sembrava in uno stato catatonico. Camminava deambulando e ciondolando,
come se fosse stata imbottita di psicofarmaci e sedativi.
“Sarà sicuramente così” pensò
Flavio.
“Gloria come ti senti oggi.”
Chiese Flavio con tono quasi rammaricato e sconsolato.
“Il tempo passa, la mente tace,
scordar di lui non son capace…” disse mentre si guardava intorno, si stringeva
le braccia al corpo e cercava di non farsi sentire.
Flavio cercò di tranquillizzarla,
accarezzandola per quel che poteva. La donna si allontanò.
“Non mi toccare…” urlò in tono
isterico e quasi cagnesco.
Nella sala comune calò il
silenzio. Gli inservienti erano ad un passo dall’intervenire ma Flavio fece loro cenno di aspettare. Non voleva spaventare sua sorella. Non voleva essere, anche
lui, complice della sua solitudine e della sua prigionia. Chiunque fosse andato
a trovarla, negli ultimi anni era sempre stato aggredito e poi rifiutato da
Gloria. Era rimasto solo Flavio.
“Gloria calmati!” esclamò il
fratello, alzandosi e pronunciando con fermezza quelle due parole.
La donna rimase quasi sbalordita
di questa reazione, quasi stranita tant’è che recepì subito il messaggio e si
sedette nuovamente.
“Scusami, è che io non sono
pazza, voglio solo mantenere le distanze.”
“Ok, va bene…”.
L’uomo rimase un’altra ora con la
sorella, conversando con lei per quel che poteva. Finita la visita rientrò in
ufficio.
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